mercoledì 27 maggio 2009

"Mantenere una distanza critica e realizzare opere personali"

Secondo appuntamento per "Created by". Questa volta a parlare della situazione del mercato televisivo francese è stato Frédéric Krivine (Police Judiciaire, Anne Le Guen) che ha presentato in anteprima il primo episodio della sua nuova serie Un Village Français, da lui scritta e prodotta per France 3.
Dopo l'Inghilterra, quindi, la Francia, che ha un mercato ed un panorama televisivo molto simile a quello italiano. Anche la Francia è un mercato giovane, che è stato abituato per anni più ai formati da 100' che ai 50' anglosassoni. Ed è proprio questo il principale motivo della crisi che sta attraversando ora il prodotto autoctono francese
"Con lo sbarco in prima serata delle fiction americane", dice Krivine, "il pubblico è cambiato e la serie classica francese è diventata ben presto obsoleta."
Gli sceneggiatori e i network stanno reagendo, cercando di proporre un prodotto che si avvicini al linguaggio delle serie americane. 
"Bisogna studiare il linguaggio del prodotto americano", aggiunge Krivine, "perché il nostro prodotto in confronto ad esso ne esce sicuramente perdente..."
Un Village Français va proprio in questa direzione, senza perdere un sapore francese. La serie, che racconta l'occupazione nazista di un piccolo villaggio, rispetta i canoni del formato da 50' ma senza scimmiottare i prodotti americani.
Krivine ha lavorato quattro lunghi anni al progetto e lo ha fatto in una veste particolare. Anche lui, come Pharoah, ha aperto una propria società di produzione ed è diventato a tutti gli effetti co-produttore della serie, garantendosi un controllo sul prodotto finale.
Krivine ha incoraggiato gli sceneggiatori presenti a compiere il passo e ha brevemente definito l'atteggiamento che, a suo parere, dovrebbe avere uno scrittore televisivo: 
"Bisogna mantenere una distanza critica e realizzare opere personali."
Sono parole che sposiamo volentieri.
In un colloquio privato, in separata sede, ci siamo trovati a parlare anche del ruolo del regista in tv (ruolo ricoperto anche da Krivine, in alcuni casi) e ci ha spiegato come l'avvicendamento di più registi lungo l'arco della serie non è solo utile, ma necessario.
"E' sempre una questione di distanza", ci ha detto Krivine, "Se un regista gira tutta la serie e addirittura più stagioni della stessa serie, finisce per innamorarsi degli attori, del set, del suo modo di girare e perde di vista il racconto..."
Un capitolo a parte meritano le cifre dei compensi degli sceneggiatori francesi. Prendendo come esempio Un Village Français, un episodio da 50' ha un budget complessivo di un milione di euro e uno sceneggiatore prende tra i 30 e i 35 mila euro. Se il costo orario complessivo è praticamente identico al prodotto italiano (vi ricordiamo che Un Village Français è in costume) non possiamo dire lo stesso per quanto riguarda il compenso della scrittura.
Krivine ci ha anche delucidati sulla situazione contrattuale francese. 
"Non esiste un contratto nazionale, ma un Accordo di Buona Condotta con i produttori", ovvero una sorta di decalogo che definisce i rapporti lavorativi e i compensi minimi.
Ecco questa è un'ipotesi possibile, un traguardo che la SACT sente di potersi proporre e che si augura di raggiungere.
Ultime righe dedicate alla partecipazione, sempre molto alta. E segnaliamo di nuovo la forte presenza delle strutture editoriali Mediaset e RAI. Speriamo vivamente che questa presenza sfoci in un momento di confronto tra sceneggiatori e strutture editoriali, per regolare in modo proficuo e produttivo il rapporto lavorativo che ci lega.
Non ci resta che ricordarvi che il terzo incontro si svolgerà il 15 giugno sempre presso la Casa del Cinema e vedrà protagonista Paul Abbott (Shameless, Colcking Off e State of play). Per l'occasione verrà proiettato un episodio della serie Shameless.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Grazie, sact, serviva davvero aria nuova per rilanciare anche da noi una discussione aperta, franca e intelligente di ruoli e competenze! C'è un'altra cosa. Dalla biografia di Krivine e da quella di Pharoah che avete diffuso emerge un percorso professionale trasparente e lineare: un percorso che parte da una scuola di cinema, passa per un confronto duro di idee e professionalità, approda infine a un successo, tanto più imprevisto quanto più l'idea ha avuto tempo e modo di costruirsi e di differenziarsi da tutte le altre idee e di diventare unica. Non sarà che al pubblico piace proprio questa unicità, che sa riconoscerla, che ne deriva fiducia? Krivine ha parlato di forza normalizzatrice della televisione: ciò che passa da lì crea abitudine, rapporto. Come a scuola. Ma ciò che ti ricordi, ciò che apprendi è ciò che il singolo professore riesce ad autenticare col suo sè. Il resto è niente, nebbia.